
Un film di Ettore Scola.
Con Alberto Sordi, Nino Manfredi, Bernard Blier, Franca Bettoja, Erika Blanc. Giuliana Lojodice, Alfredo Marchetti, Francesca Romana Coluzzi.
Genere: Commedia.
Durata 128 min.
Italia 1968.
Con Alberto Sordi, Nino Manfredi, Bernard Blier, Franca Bettoja, Erika Blanc. Giuliana Lojodice, Alfredo Marchetti, Francesca Romana Coluzzi.
Genere: Commedia.
Durata 128 min.
Italia 1968.
Il ricco editore Fausto Di Salvio (Alberto Sordi), stanco della monotonia di Roma, parte per l'Africa alla ricerca del cognato Titino (Nino Manfredi), di cui da lungo tempo non si hanno più notizie; Di Salvio trascina nell'impresa anche il poco entusiasta ragioniere marchigiano Ubaldo Palmarini (Bernard Blier), suo dipendente. Seguendo le tracce del cognato i due incontreranno vari personaggi eccentrici, dal buffonesco truffatore portoghese Pedro al mercenario straccione e appassionato di von Clausewitz detto "il Leopardo", fino a raggiungere, dopo disastrose avventure, la tribù dove Titino, che ha preferito una vita di espedienti alla più comoda ma banale vita in Italia, è diventato lo stregone del villaggio. Più per il rischio di essere raggiunto dal mercenario "Leopardo", una delle sue numerose vittime di truffe, e dalla sua banda armata che per le insistenze del cognato, Titino decide di ripartire con quest'ultimo verso l'Italia.
Una volta salito sulla nave, però, vede la sua tribù al completo che dalla riva lo chiama a gran voce pregandolo di restare con una invocazione in lingua indigena che si trasforma alle orecchie di Fausto in una cantilena romanesca «Titì nun ce lascià». Dopo un momento di esitazione Titino si getta quindi in acqua per tornare dalla sua tribù. Anche Di Salvio, nel tentativo di fermare il cognato rimane per un momento con i piedi sul parapetto della nave: l'esperienza vissuta in Africa gli ha lasciato una nuova consapevolezza, al punto che egli stesso rimane seriamente in dubbio se tornare alla ricca ma vuota esistenza in Italia o seguire il cognato nella sua avventura.
Una volta salito sulla nave, però, vede la sua tribù al completo che dalla riva lo chiama a gran voce pregandolo di restare con una invocazione in lingua indigena che si trasforma alle orecchie di Fausto in una cantilena romanesca «Titì nun ce lascià». Dopo un momento di esitazione Titino si getta quindi in acqua per tornare dalla sua tribù. Anche Di Salvio, nel tentativo di fermare il cognato rimane per un momento con i piedi sul parapetto della nave: l'esperienza vissuta in Africa gli ha lasciato una nuova consapevolezza, al punto che egli stesso rimane seriamente in dubbio se tornare alla ricca ma vuota esistenza in Italia o seguire il cognato nella sua avventura.





